Coronavirus,quell’ospite indesiderato e sconosciuto

Non importa chi abbia invitato il Coronavirus a casa nostra. Non ci resta che fronteggiarlo, rallentare il suo passo e proteggere chi è più a rischio.

L’Italia è il Paese che, dopo la Cina, registra il numero più alto di casi positivi al Coronavirus. Ma è anche il Paese che, dopo  il Giappone, ha il maggior numero di anziani al mondo. Ed è per questo che, in regioni come la Regione Lombardia (ossia il 22.6% dei residenti) la diffusione del coronavirus preoccupa la popolazione delle fasce più alte di età.

Il coronavirus Covid-19 è un nuovo ceppo, mai identificato precedentemente nell’uomo, manifestatosi in Cina ai primi di dicembre, ma probabilmente già presente mesi prima dei primi casi segnalati e poi diffusosi anche in Europa.

I coronavirus sono noti per trasmettere malattie delle vie respiratorie, come il raffreddore, ma anche malattie più temibili, come le polmoniti virali. Non tutti i contagiati si ammalano in maniera grave. Si può anche guarire in pochi giorni. Nei casi più gravi è necessario essere ricoverati in terapia intensiva, per l’insorgere di insufficienza respiratoria.

Sarebbe importante essere già vaccinati contro il virus influenzale e contro lo pneumococco perché riduce l’eventuale sovrapposizione di altri agenti patogeni.

La terza età va preservata

Purtroppo si stanno verificando decessi soprattutto tra le persone anziane, solitamente con quadri clinici già complessi. Fondamentale quindi prevenire il contagio negli anziani.

Gli anziani non sono tutti uguali e alcuni sono  più fragili per patologie concomitanti, quali diabete, malattie respiratorie croniche, cardiopatie, malattie oncologiche, tabagismo. Non devono esporsi al freddo che facilita la diffusione del virus. Possibile, invece, fare una breve passeggiata nelle ore più calde se si è in buona salute.

Se è presente febbre, sensazione di debolezza con eventuali dolori muscolari e/o tosse secca, bisogna consultare il proprio medico, che conoscendo il singolo paziente, valuterà se i sintomi possono essere attribuiti ad altre malattie, infettive e non, e se è necessario assumere farmaci antivirali o antibiotici.

E’ particolarmente importante per gli anziani fragili limitare le occasioni di contagio, evitando luoghi affollati e potenzialmente pericolosi. Ecco perché sono state chiuse anche le chiese, sospese le messe, limitato l’ingresso nelle strutture di accoglienza (case di cura e di riposo).

A loro favore non gioca neppure la nutrizione. Spesso l’anziano non si nutre a sufficienza e con il passare dell’età l’immunosenescenza (diminuzione delle difese immunitarie) lo rende più fragile. Un’alimentazione sana e completa deve essere però un obiettivo da perseguire. In caso di difficoltà, è consigliato supportare l’anziano con integratori di vitamina C, zinco e vitamina D.

Autoimmune a chi?

La probabilità di contrarre l’infezione virale da coronavirus non è provato essere maggiore nei pazienti con malattie autoimmuni. Ciò che cambia in questa popolazione è che, in caso di infezione, l’evoluzione della malattia virale potrebbe essere più severa per 2 motivi:

  • da un lato la presenza di alterazioni funzionali del sistema immunitario caratteristiche di tutte queste malattie (lupus eritematoso, artrite reumatoide, scelrodermia, polimiosite/dermatomiosite, etc.);
  • dall’altro le terapie utilizzate per il loro controllo che, quasi costantemente, tendono a inibire la risposta immune (cortisonici, immunosoppressori, farmaci biologici).

I pazienti con malattia autoimmune, spesso giovani, devono seguire in modo particolarmente rigoroso tutte le indicazioni fornite dagli organi competenti ponendo particolare attenzione alle norme igieniche e alla limitazione degli spostamenti, dei viaggi, e della frequentazione di ambienti lavorativi e sociali. Non è invece prevista l’interruzione o riduzione delle terapie in atto, se non prima concordata con lo specialista.

In caso di esito positivo del tampone, sarebbe opportuno un contatto immediato anche con l’immunologo/reumatologo di riferimento per stabilire, in base al quadro clinico, se vi siano necessità di revisione delle terapie in atto.

E il diabete cosa fa?

Anche i diabetici non hanno più probabilità, o quantomeno non è stato ancora dimostrato un maggiore rischio nei pazienti affetti da diabete mellito.

La storia della malattia diabetica, tuttavia, ci insegna come sia associata a una maggiore predisposizione alle infezioni. Uno scarso controllo glicemico è infatti alla base di alterazioni del sistema immunitario e può favorire le più note infezioni del diabetico, ad esempio a livello del piede, delle alte e basse vie respiratorie, delle vie urinarie e così via.

Se contraessero il coronavirus, i diabetici correrebbero maggiori rischi e per quanto noto finora il decorso e l’esito della malattia virale risultano essere peggiori nei pazienti affetti da diabete mellito. Il meccanismo non è ancora chiaro ma come accade per le altre infezioni, è verosimile che l’età avanzata e la presenza di un diabete poco controllato, spesso associato a complicanze micro e macrovascolari, rappresentino dei fattori di rischio aggiuntivi.

Il consiglio del diabetologo è quello di tenere sotto stretto controllo il diabete e ovviamente seguire tutte le norme generali per evitare il contagio. Altra regola essenziale è segnalare agli operatori sanitari la propria patologia.

Ricerca in prospettiva

I medici italiani stanno sperimentando gli effetti del farmaco per l’artrite sui malati di coronavirus e l’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, sta svolgendo i necessari approfondimenti sul farmaco per l’artrite reumatoide che sembra star funzionando nella lotta al Coronavirus.

Con il tempo che scorre si potranno avere i primi e giusti riscontri di questo farmaco che la Roche ha messo a disposizione gratuitamente agli ospedali italiani.

L’obiettivo è definire dei criteri per capire quali sono i pazienti che potrebbero trarre il maggior beneficio dal farmaco e adottarlo prima che ci sia la necessità della terapia intensiva. La speranza è che questo farmaco possa accelerare il recupero dei pazienti critici e portare a un calo del tasso di mortalità.