Covid-19, quello che ancora non sappiamo

Ne parliamo da febbraio, ma ad alcuni quesiti non abbiamo ancora una risposta valida. Terapie, sintomi, origine: la ricerca ha ancora molta strada da fare.

Da due mesi non parliamo d’altro, se non di coronavirus. Abbiamo imparato tante cose su di lui e si sta scrivendo un pezzo di storia, ma altrettante informazioni ancora sfuggono e probabilmente troveranno risposta solo ad emergenza conclusa.

La ricerca sta facendo passi da gigante, ma una terapia e un vaccino ufficialmente approvati ancora non ci sono. I test più promettenti, appoggiati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) con il trial clinico globale Solidarity, riguardano il farmaco anti-ebola, il Redemsivir, i cui primi risultati sono attesi proprio in questi prossimi giorni. Ma anche gli antimalarici, Clorochina e Idrossiclorochina, e i farmaci contro l’HIV, il Ritonavir e il Lopinavir (da soli o in combinazione) sono sotto la lente dei ricercatori.

Altri farmaci, come il Tocilizumab, normalmente usato contro l’artrite reumatoide, stanno dando risultati promettenti non come antivirali, ma per lenire i sintomi dovuti alle tempeste di citochine (la risposta immunitaria esagerata dell’organismo all’attacco virale), come la polmonite interstiziale che colpisce i pazienti con COVID-19.

Virus e territorio

E poi chi sa rispondere al perché una diffusione così ingente in Lombardia? Forse per la sua alta densità abitativa e per la sua vocazione industriale, economica, dei grandi spostamenti. Oppure è vero quello che in molti hanno sollevato come “bomba biologica”, ossia la partita Atalanta – Valencia del 19 febbraio a San Siro, che ha messo a stretto contatto 40 mila persone, dando modo al virus di circolare liberamente tra gli spalti. Da alcune settimane, poi, ci si chiede anche se la ragione stia nell’inquinamento atmosferico sulla Pianura Padana, favorendo la diffusione del virus in Lombardia ed Emilia Romagna.

Un solo virus, diverse forme

All’inizio sembrava colpire solo e quasi esclusivamente le persone anziane e con malattie pregresse, ossia i soggetti più a rischio. Oggi si conferma come fascia più a rischio, ma sempre più spesso in ospedale arrivano trentenni, quarantenni e cinquantenni, e in Europa si sono verificati decessi anche tra adolescenti e bambini. Allo studio ci sono altri fattori come scatenanti il virus, per esempio la carica virale, i geni.

Ma in realtà non sappiamo se la dose infettiva con cui ciascuno entra in contatto abbia qualche effetto nella gravità dei successivi sintomi, né se contino di più il tempo di esposizione al contagio o il numero di persone positive con le quali si è entrati in contatto. Le donne sembrerebbero incorrere meno frequentemente degli uomini sia nel contagio. Ma anche questo non è un dato che possiamo dare come certo.

Virus e letalità

Quante persone con COVID-19 muoiono? È la domanda a cui tutti vorremmo avere una risposta netta, ma finché non saranno effettuati i test sierologici degli anticorpi che chiariranno quanti sono stati realmente i contagi, sarà una risposta a noi ignota. Fin dall’inizio è stato chiaro che i numeri forniti dai media non erano quelli reali della pandemia – solo in Lombardia ha influito un’altissima percentuale di casi sommersi, perché asintomatici o perché sintomatici ma non testati.

Si può esserne immuni? In Italia, l’unica immunità di massa è quella comportamentale, scegliendo di rimanere a casa e proteggendosi l’uno dall’altro, impedendo al virus di circolare liberamente e riproducendo – con molti sacrifici – l’effetto ricercato nei vaccini. Nei guariti si trovano anticorpi neutralizzanti che impediscono al SARS-CoV-2 di propagarsi tra le cellule, ma al momento non è chiaro quanto duri questo effetto di immunità in loro.

Pensare che si possa contrastare il virus semplicemente esponendo prima o poi tutta la popolazione al COVID-19 e contando sull’effetto protettivo di quelli già guariti, beh, secondo gli esperti è pura follia e sembrerebbe più che altro una strategia di “suicidio sociale”.

Quali organi preferisce il virus?

All’inizio si parlava dei soli sintomi polmonari, poi sono emerse evidenze sui danni al sistema cardiovascolare e che può colpire anche i reni, il fegato e il tratto gastrointestinale, mentre stanno emergendo alcuni (più rari) casi di sintomi neurologici come confusione, deliri, crisi epilettiche, infezioni cerebrali. I dati che abbiamo suggeriscono che il virus o la reazione immunitaria ad esso provochino danni multiorgano, ma come detto sono la risultante delle esperienze dei pazienti.

Una convivenza poi così non recente

Se è chiaro che il mercato di animali vivi di Wuhan sia stato legato alla prima, visibile ondata di casi, non tutti gli epidemiologi ritengono che il passaggio del coronavirus da animale a uomo sia avvenuto in quel contesto. Un recente studio su Nature ha ipotizzato che il SARS-CoV-2 possa aver fatto il salto di specie ben prima, e abbia continuato a circolare nell’uomo in una forma innocua, prima di creare le condizioni che hanno provocato l’attuale epidemia. Una visione interessante questa di Nature: il coronavirus sarebbe quindi circolato a lungo tra noi in modo innocuo, prima di creare le condizioni che hanno provocato l’attuale pandemia.