Covid. Perché così impreparati

Serve autocritica e analisi su quanto successo per non sbagliare di nuovo. Una ricerca e sondaggio internazionali spiegano come la pandemia è stata gestita nelle diverse aree del mondo.

Come in tutte le cose, chi di fronte alle problematiche ed emergenze non si sofferma ad analizzare le variabili e a fare autocritica non potrà mai imparare e non farsi trovare una seconda volta impreparato.

La pandemia Covid-19 è un caso lampante di come la gestione non sia stata efficiente e l’impreparazione sia stata sovrana. A livello mondiale, non tutte le realtà stanno vivendo le stesse difficoltà. Una prima indagine internazionale mira a spiegare come la pandemia sia stata gestita nel mondo.

Gli autori affermano con fermezza che nessuno può esimersi dal valutare e rendere noti i problemi incontrati nel fronteggiare il nuovo virus. Nemmeno bisognerebbe dubitare che si tratta di una malattia nuova, malvagia, difficile da contenere, controllare e superare.

Tutte conclusioni che si evincono dalla rilevazione di dati e criticità dei diversi sistemi sanitari. Dati e criticità su cui ci si dovrebbe interrogare.

Come è stata gestita la prima fase della pandemia a livello internazionale?

È questa la prima domanda del survey mondiale promossa dall’Italian Network for Safety in Healthcare in collaborazione con l’International Society for Quality in Health Care, la Macquarie University e la nostra famosa Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.  L’indagine riporta riporta l’opinione di oltre 1000 esperti di qualità e sicurezza appartenenti a 96 paesi, su come è stata gestita la pandemia nelle sei regioni mondiali (America, Africa, Europa, Medio-Oriente, Sud-est asiatico, Pacifico occidentale) nel periodo temporale maggio-luglio.

A fine settembre chi contava più morti erano il continente americano (55%) e l’Europa (23%). A conferma di questo dato, chi ha reagito più rapidamente e forse meglio nel controllo dell’epidemia sono invece stati l’area medio-orientale, quella sud-est asiatica e quella pacifico occidentale. Probabilmente l’esperienza vissuta con l’epidemia MERS e SARS ha reso le prime due regioni più resilienti ed organizzate nel mettere in atto tempestivamente misure di contenimento e prevenzione.

Importante è leggere come ben l’80% dei paesi disponeva di un piano di emergenza pandemica, ma solo nella metà dei casi era stato aggiornato nel tempo. E colpisce ancora di più il basso livello di preparazione e formazione degli operatori sanitari. Solo il 30% ha dichiarato di aver svolto nel proprio paesi una formazione mediante corsi e simulazioni sulla gestione di una pandemia nei tre anni antecedenti e solo il 50% riferisce di non aver avuto problemi nella disponibilità di dispositivi di protezione individuale. Per non parlare del loro supporto psicologico e raccomandazioni sulla cosiddetta sindrome di burn-out. Per fare una simulazione, una squadra che non si è mai allenata insieme e periodicamente, non può pensare di vincere senza sconfitte.

Pazienti, tamponi, cure

Secondo il 72% degli esperti si poteva predisporre l’esecuzione e somministrazione dei tamponi in siti specifici, che non fossero gli ospedali. Anche in questo caso le regioni più efficienti in questo senso sono state il sud-est asiatico e quella pacifico occidentale con una percentuale nettamente inferiore nei ritardi degli esiti (il 30% contro il 50% delle altre regioni). Qui è risultata presente la gestione dei pazienti e la presa in carico dei pazienti dimessi.

Una vera sconfitta delle cure primarie a livello mondiale che dovrà essere oggetto di una profonda riflessione e cambiamento. Meno del 70% dei rispondenti ha dichiarato che i pazienti affetti da COVID-19 sono stati ricoverati in ospedali o altre strutture dedicate e il 60% che le RSA sono state isolate. Risulta evidente che molte di queste risposte avrebbero dovuto superare la soglia del 90%, dal momento che la mancata applicazione di alcune misure essenziali – anche in piccola percentuale – espone la popolazione a grave rischio di diffusione del contagio.

Insomma, il sondaggio di fine estate (antecedente la seconda ondata) come prevedibile, non è stato roseo. Se ne deduce che le epidemie si affrontano e se ne esce vincitore prevenendo e anticipando il rischio, con comunicazione e organizzazione.

L’augurio è che nessuno sottovaluti o nasconda sotto il tappeto i problemi già vissuti nell’affrontare la prima ondata della pandemia.